Stupido come un pittore. Intervista a Rossella Farinotti e Simona Squadrito, di Stefano Serusi

Tra tutti, il medium pittorico è spesso oggetto di riflessione sulla sua natura e sulla sua capacità di adattamento allo scorrere del tempo. Mentre infatti è difficile ritrovare, per esempio, una rassegna di videoarte che si regga sull’analisi del video come strumento, nelle mostre di pittura la riflessione sull’esercizio del medium è ricorrente. Certamente consapevoli di questo, e con un approccio nettamente sperimentale, due curatrici hanno scelto un punto di vista particolare per un progetto sulla pittura. Un progetto sulla carta apparentemente temperato: delle mostre appunto di pittura, in una villa storica della Brianza, due critiche che esercitano delle scelte, magari dividendosi pittori e stanze, ma che rivela invece proprio nel confronto sul campo dei diversi approcci delle due curatrici Rossella Farinotti e Simona Squadrito un carattere estremamente innovativo. Le differenze si traducono in una forma-mostra estremamente armoniosa, agerarchica, in cui età e stili diversi degli artisti sembrano generare una peculiare sintassi proprio nella somma delle differenze.
La seconda mostra di Stupido come un pittore darà inaugurata domenica 20 maggio 2018 alle 17:00 a Villa Vertua (Nova Milanese) e sarà visitabile nei fine settimana fino al 3 giugno (sabato ore 15:30/18:30, domenica 10:30/12:30 e 15:30/18:30).

Giacomo Montanelli- Disfatta, 25x35 cm, acrilico su tela, 2018

Giacomo Montanelli, Disfatta, 2018

Partirei da qui, vedendo la prima mostra della serie Stupido come un pittore mi ha colpito il contrasto tra le informazioni, che erano in prevalenza le differenze stilistiche e generazionali tra gli artisti (il gruppo comprendeva infatti anche Valentino Vago), e l’allestimento che le armonizzava, creando gruppi di immagini e accostamenti molto interessanti. Mi potreste raccontare la genesi del progetto, il suo sviluppo in questi mesi in ragione anche della scelta degli artisti?

Raccontare l’ideazione e lo sviluppo di Stupido come un pittore significa sviscerare tutti gli aspetti legati allo studio, all’elaborazione e alla messa in comune delle nostre ricerche. Non ci stancheremo mai di ripetere che Stupido come un pittore vuole raccontare anche del lavoro condiviso di due critiche che si sono impegnate nel far incontrare, senza mai pretendere una fusione, due punti di vista differenti.
Il progetto nasce da una spinta data da Simona che da tempo manifestava il suo desiderio di organizzare una mostra collettiva di pittura con quegli artisti che fin dall’inizio del suo percorso lavorativo l’hanno accompagnata.
L’idea iniziale era quella di fare due mostre, una curata da Simona e una da Rossella. Ovviamente non si pensava a mostre distanti l’una dall’altra, ma come esiti diversi di un percorso di ricerca che avremmo intrapreso insieme, eravamo dell’idea di volere separare il momento pratico del lavoro.
L’idea iniziale più che essere cambiata è naufragata, e adesso possiamo dire fortunatamente.
Quell’idea di dividerci, di fare un percorso parallelo era certamente una scelta più comoda ma sicuramente meno stimolante, ci saremmo perse quello che adesso riteniamo uno degli aspetti più belli del percorso che stiamo intraprendendo. Sono state le difficoltà incontrare all’inizio a spingerci l’una verso l’altra e a persuaderci che in fin dei conti dovevamo unirci e provare, nonostante le differenze, a creare qualcosa insieme. Ci siamo rese conto che unite siamo più forti, che insieme si lavora meglio. Adesso siamo più collaudate di prima, siamo abbastanza coordinate e la fiducia a che abbiamo l’una nei confronti dell’altra aumenta di giorno in giorno. In alcuni aspetti del lavoro abbiamo competenze così diverse che ci compensiamo in modo straordinario. Rossella colma i limiti di Simona e viceversa. Non è neanche trascurabile il fatto che grazie a questo progetto oltre ad aver incontrato una collega abbiamo incontrato un’amica, forse questo è un aspetto molto femminile del lavoro, raramente abbiamo sentito dagli uomini esaltare queste dinamiche.
L’incontro, la negoziazione delle proprie idee, l’accettazione dei punti di vista differenti, è forse la cosa più importante con cui abbiamo dovuto fare i conti con questo progetto.
Una volta superata l’idea iniziale abbiamo iniziato a lavorare insieme in tutti gli aspetti del progetto. Sono cambiate le dinamiche, gli artisti da selezionare e le idee legate allo sviluppo successivo per progetto, diciamo che è stata una vera e propria rivoluzione e per questo motivo siamo anche grate delle difficoltà che abbiamo incontrato all’inizio.
La prima tappa è stata quasi miracolosa, se non avessimo fatto i conti con alcuni fallimenti iniziali non avremmo raggiunto quel risultato. Ovviamente è impossibile pensare di organizzare una mostra tutta a tavolino. Arriva sempre il momento in cui le situazioni esplodono e ci si sente come dentro ad un’arena.

Stupido come un pittore si compone di tre tappe, che cosa le differenzia?

La differenza principalmente è in ciò che vogliamo raccontare in ogni tappa e non meno importate è con chi abbiamo voglia di lavorare.
Nella prima tappa le opere di Thomas Berra, Pesce Khete, Sebastiano Impellizzeri, Nicola Melinelli e Valentino Vago si sono legate tra loro in modo davvero armonioso, la mostra restituiva una dimensione atmosferica rarefatta e ovattata, ci piace sempre riportare un modo che avevano di raccontare la mostra ai visitatori: dicevamo sempre che si trattava di un percorso fatto di scorci.
Con il primo appuntamento ci siamo occupate di alcune ricerche che manifestano delle urgenze prepotenti, come quelle legate al superamento dei confini tradizionali della pittura: il supporto. Abbiamo anche deciso di selezionare quei lavori che avessero una relazione molto forte con la luce e con il segno rispetto invece a una pittura che vuole più raccontare delle storie o mostrare delle scene e figure. In questa seconda tappa invece è la pittura figurativa a determinare il taglio tematico della mostra. Anche questa volta la realizzazione della mostra non è stata facile, anche se per motivi differenti da quelli incontrati nella prima tappa. Innanzitutto il lavoro di selezione è stato più lungo e più complesso: ci siamo documentate molto, abbiamo incontrato tanti pittori e viaggiato per l’Italia, poi siamo arrivate al momento della selezione finale e delle rinunce. Abbiamo asciugato e sintetizzato la selezione il più possibile, coinvolgendo soprattutto quegli artisti che hanno mostrato interesse all’interazione con lo spazio di Villa Vertua.
Linda Carrara, ad esempio, ha realizzato un wallpaper da inserire a mo’ di carta da parati, una sorta di fondo dove trovano il loro posto le opere degli altri artisti. Anche Giulio Saverio Rossi ha deciso di lavorare con lo spazio giocando con le finestre della villa, che sono in sé già degli elementi di grande impatto visivo. Andrebbe anche citato il caso di Giacomo Montanelli, il più giovane tra gli artisti inviati, che ha scelto di lavorare all’interno di uno spazio dove nessuno ha mai pensato di intervenire. Mentre nel caso di Michele Tocca, Giovanni Copelli e Mimmo Germanà, abbiamo selezionato delle opere canoniche: dei dipinti e dei disegni. In linea di massima abbiamo cercato anche questa volta di creare una mostra dinamica, dove l’occhio dello spettatore sarà invitato a guardare in tutte le direzioni.
La terza tappa che inaugurerà tra un anno sarà la vera sfida, Rossella ama dire che sarà una mostra di “pittori non pittori”. Con l’ultimo appuntamento vogliamo ribaltare la prospettiva e chiedere ai non pittori di parlare di pittura. In che modo? Beh, questa sarà una sorpresa.

Giovanni Copelli- idillio2018 copy

Giovanni Copelli, Idillio, 2018

Michele_Tocca_ earliest drops, 2018, olio su tela

Michele Tocca, Earliest drops, 2018

In più occasioni avete ribadito amichevolmente le vostre differenze, pur senza esplicitarle, mi piacerebbe invece che me le raccontaste, individuando anche dei momenti della collaborazione in cui queste sono emerse in modo più evidente.

Le principali differenze stanno nell’approccio curatoriale e visionario del costruire una mostra, mentre dal punto di vista delle scelte contenutistiche e dell’aspetto più legato al gusto adesso ci troviamo abbastanza d’accordo, più che altro la stima e il rispetto reciproco ci porta ad accettare e a apprezzare le scelte l’una dell’altra.
Simona ha un percorso più filosofico e filologico alle spalle, e non è trascurabile il fatto che sia stata proprio la vicinanza con la pittura, o meglio con i pittori, fin da giovanissima, a spingerla a intraprendere questo mestiere. Certe volte è così concentrata sulla pittura da non valutare tutto il resto, è come se fosse vittima di una forma di autismo da pittura. Il suo approccio alla pittura è analitico, le piace soprattutto il lavoro ben fatto, quando la tela è ben lavorata e trattata con serietà. Rossella invece è più interessata al racconto che l’artista vuole trasmetterci. Inoltre ha un approccio più pratico e pragmatico nel lavoro e nel rapportarsi con gli artisti con cui lavora. Il suo approccio al coordinamento è quasi maniacale. Inoltre è molto più curiosa e aperta ai diversi linguaggi e media artistici e questo la porta ad essere una figura professionale più trasversale. Ha una grossa esperienza alle spalle, ed è sicuramente più avvezza a comprendere i meccanismi e i giochi che fanno parte di questo mestiere. Inoltre riesce a far rigare dritto gli artisti, diciamo che non ama tergiversale e quindi va sempre dritta al punto.

A proposito delle differenze, e conoscendo entrambe, ho pensato ad una cosa che vi accomuna, che è il legame molto forte che create con gli artisti con cui lavorate. Ho sempre trovato interessante il tema della fiducia, dell’affidarsi reciproco ad una voce o ad un’immagine, un discorso in un certo senso anche di tutela del lavoro dell’altro, esplicitato nell’arco di più collaborazioni. Per voi quanto è effettivamente importante questo aspetto?

Quando scriviamo “sfida” nel caso di Simona si intende proprio questo: è il suo modo di relazionarsi con i “suoi” artisti. Entrambe condividiamo questa sorta di croce, ovvero quella di non riuscire a separare l’aspetto umano con l’aspetto lavorativo. Queste due componenti sono per noi un unicum. Questo approccio il più delle volte è più d’intralcio che di aiuto, ciononostante non riusciamo a lavorare con artisti che non stimiamo anche come persone, umanamente. Forse fa parte di quell’innamoramento nei confronti delle opere di cui abbiamo scritto prima. Per questo, in fondo, siamo molto simili e lavoriamo con lo stesso pensiero di fondo.

In apertura: Veduta della mostra, Stupido come un pittore #1. Ph- Cosimo Filippini.