I limiti del gioco nella società dello spettacolo

I limiti del gioco nella società dello spettacolo
recensione della mostra “The game – business and manipulation” alla Amy-d arte spazio
articolo di Andrea Lacarpia

Già nel 1967, il filosofo francese Guy Debord descrisse, nel noto saggio “La società dello spettacolo”, lo scollamento che interviene nella moderna società delle immagini tra la vita reale e l’immagine del mondo,  deviata da una spettacolarizzazione che provoca isolamento. Debord descrive lo spettacolo con queste parole: “Lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine”. Quindi la società dello spettacolo come conseguenza della società dei consumi, nella quale l’immagine perde ogni finalità sociale positiva per divenire mero intrattenimento finalizzato all’incremento dei consumi. Con ciò si deduce l’importanza che hanno i media nella costruzione dei nuovi modelli sociali, nei quali la dimensione creativa dell’individualità è sempre più isolata nella dimensione virtuale, all’esterno della quale resta solo il consumatore. Se l’appeal della televisione diviene sempre più limitato per via della poca interattività, è nell’ambito dei videogame che, grazie alla verosomiglianza della dimensione parallela nella quale il giocatore viene immerso e agisce, subentrano efficacemente quei meccanismi che portano il fruitore a non separarsene, fino al punto di non riconoscere più la distinzione tra reale e virtuale.

Il progetto The Game, allestito presso l’ampio spazio della Amy – D Spazio Arte, nasce dalla volontà di far riflettere il pubblico sui rischi dell’utilizzo continuativo di alcuni mezzi di intrattenimento, oltre a denunciare la poco nota responsabilità dei programmatori di videogame nel formare la società del futuro attraverso i giovani fruitori dei propri prodotti. Per poter approfondire tale mondo dal proprio interno, sono stati coinvolti gruppi di programmatori, i quali hanno realizzato per l’occasione dei nuovi videogames, uno dei quali finalizzato all’utilizzo da parte di persone non vedenti. Come consuetudine della direttrice Anna D’Ambrosio, il progetto nasce da un forte tema sociale e si esprime con i mezzi propri dell’arte: l’intuizione e la metafora. Similarmente al linguaggio onirico, la mostra si sviluppa seguendo un percorso mentale che, oltre ad illuminare le singole opere, suggerisce significati ulteriori per via delle associazioni che possono nascere tra esse.

Si parte dai disegni su carta realizzati durante l’inaugurazione da Cecilia Borettaz, la quale ha utilizzato un tavolo che, roteando vorticosamente, funziona come un torchio sul quale l’artista controlla manualmente posizionamento e pressione di una penna. I disegni così ottenuti, dalle ipnotiche linee concentriche, costituiscono una sorta di matrice, come fossero la prima idea astratta che anticipa la costuzione di un nuovo mondo o narrazione. Si prosegue con un’opera di Massimiliano Camellini, nella quale la cupa immagine fotografica di una fabbrica abbandonata emerge dietro un telo blu squarciato. La decadenza del luogo fotografato riporta alla crisi della corsa produttiva che si esprimeva nelle fabbriche e che oggi si è riversata nell’immaterialità dell’entertainment. Di fronte all’opera di Camellini, ma puntata nella direzione opposta, è posta l’arma che Costantine Slatev ha costruito assemblando un complesso macchinario formato da più elementi, trasformando una minacciosa canna di fucile in un flauto dalla melodia mesta o allegra a seconda dell’oscillazione delle esportazioni d’armi negli U.S.A., rilevate da un sofisticato sistema computerizzato. L’industria delle armi si può comparare a quella dei videogames, i quali ispirano in alcuni soggetti la sovrapposizione di armi virtuali e reali senza distinzioni. Il fucile sonoro di Slatev è sospeso a mezz’aria ed è diretto verso una sedia che suggerisce la presenza di un programmatore di videogiochi, seduto letteralmente “con un’arma puntata contro”. La presenza di occhialini 3D dell’ultima generazione, posti davanti alla sedia, riporta all’idea di progresso perseguito dai programmatori, il quale, se slegato dai reali bisogni dell’uomo, può generare gravi squilibri psichici nei fruitori dei nuovi prodotti. La sequenza di opere e l’allestimento, netto e dalle immagini aggressive e poetiche nello stesso tempo, fa immaginare la fine di un sistema malato che si autodistrugge per la troppa cieca produttività: la fine delle illusioni del mondo moderno.

Constantine Zlatev, The last gun, 2012, flauto a scala cromatica con alimentazione pneumatica, programmato per registrare graficamente e dipingere musicalmente l’andamento delle esportazioni di armi negli U.S.A.. La crescita delle esportazioni attiva il flauto in melodie meste, mentre il calo attiva melodie celebrative.

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THE GAME – Business and manipulation (Project economART)
fino al 12 settembre 2013

Artisti in mostra: Cecilia Borettaz, Constantine Zlatev, Massimiliano  Camellini, Team BloodyMonkey (Paolo Tajè, Riccardo Amabili ), Team Santa Ragione (Paolo Tajè, Pietro Righi Riva, Nicolò Tedeschi), Wannabe-Studios (Marco Piccinini, Francesco Botti, Marco Masselli, Riccardo Corradini, Stefano Restuccia, Loris Casagrandi), Team Indomitus Games (Federico Mussetola…), E-Ludo

Amy-d Arte Spazio
via Lovanio 6 Milano
Lunedì/Venerdì 09.00-12.00 / 14.30-18.30 Sabato su appuntamento
tel. +39 02 654872
[email protected] – www.amyd.it
il video di The Game Business and manipulation: