FIGURING DYSFUNCTION. Articolo di Stefano Serusi

All’interno del cortile di uno degli edifici più inosservati ma preziosi di Corso Buenos Aires a Milano, Casa Centenara, una porta in vetro porta alla sede espositiva della Fondazione Paolina Brugnatelli. Tra fronzoli Art Nouveau, la scritta sulla lastra in vetro della porta, preservata, ricorda che in passato all’interno si trovava una pellicceria, e lo spazio raccolto ma suddiviso in più spazi da un soppalco in legno, fa pensare ad una bottega con probabile laboratorio annesso.
Il gioco dei rimandi, già sotteso, è presente anche nel titolo della mostra, FIGURING DYSFUNCTION, presentata da tre giovanissimi artisti, Andrea Bocca, Jacopo Martinotti e Leonardo Pellicanò nel mese di novembre 2016. Tema è la dicotomia, e ciò che essa può produrre nell’accostamento di opposti. Il modo in cui l’accostamento è messo in atto determina le differenze stilistiche degli artisti e il loro approccio all’idea implicita di legame.
Nella prima opera che si incontra, “Aeroponica”, di Andrea Bocca, una lampada da serra riscalda con una luce rosata un frammento metallico proveniente da una fabbrica, in cui muschi e minuscole piante crescevano e la cui vita è stata interrotta dal prelevamento dell’oggetto dal contesto originario, e quindi dalla terra e dall’acqua. Ma il legame creato tra la luce rosa e la proiezione attraverso di essa dell’oggetto sospeso sul pavimento, sembra dire l’artista, origina qualcosa di nuovo e di magico.
La seconda opera che si incontra, “Autoritratto come iniezione liquida”, presenta caratteristiche formali all’apparenza simili, nella riduzione concettuale dei due elementi, un fusto metallico che contiene acqua e un cubo di creta umida, accomunati dal peso di partenza che in entrambi è di 60 kg. L’artista, Jacopo Martinotti, tenta in quest’opera il tema dell’autoritratto, in cui evidenzia la necessità di tenere in vita un sistema/corpo: il cubo e il cilindro sono collegati da una cannula metallica e il cubo di creta per mantenere la sua forma e il suo peso continua ad assorbire acqua dal fusto che riduce quindi il suo peso.
Il terzo artista, Leonardo Pellicanò, riunisce istanze diverse con la tecnica del collage, con un’opera a parete e un libro, nel quale il fruitore, sfogliando le pagine, si ritrova davanti accostamenti che variano, attraverso i quali è chiamato a ricostruire un percorso dettato dalla propria esperienza e dall’attenzione dedicata alla singola immagine. La stessa mutevolezza di senso è esplicitata dall’artista nel titolo dell’opera, “There is nothing worse than wasted potential”, che si ripete nelle pagine perdendo via via delle parole e mutando quindi di significato. Aggiungo qui una nota del tutto personale, elogiando la scelta dell’artista di non far mettere i guanti al fruitore, permettendo una relazione concreta con il libro come avverrebbe con gli oggetti della quotidianità.

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foto di Nicolò Chiodin
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foto di Nicolò Chiodin
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foto di Nicolò Chiodin