“R.I.P.” | intervista a Niccolò Moronato | articolo di Simona Squadrito

“R.I.P.”

 

Niccolò Moronato è il creativo artefice del progetto R.I.P., un lavoro poetico, nostalgico e trasversale al confine tra un’operazione di arte contemporanea e un’analisi di ricerca.

R.I.P. ha la capacità di comunicare un messaggio orizzontale costituito da una stratificazione di livelli di contenuto accessibili indistintamente a tutti e ognuno, con il proprio piccolo o grande bagaglio culturale,  può apprezzare questo lavoro libero e assolutamente lontano dall’autoreferenzialità che contraddistingue buona parte dell’arte contemporanea. L’intero progetto è documentato attraverso la pagina Facebook Prontopronto e su Tumblr

http://prontopronto.tumblr.com/

 

 

Simona Squadrito: 

Il progetto “R.I.P.” acronimo che sta per “Riposa in Pace” e che graficamente hai reso simile al noto logo dell’ormai estinta S.I.P, vuole riflettere sul concetto di quello che definisci “prenostalgia”. Puoi spiegarmi che significato attribuisci a questo termine? 

 

Niccolò Moronato:

Prenostalgia è un’emozione che provo molto spesso.

È quella saudade, quella malinconia, che ti prende per qualcosa che realizzi e che non ci sarà per sempre, anche se è ancora vicina a te. Per me rappresenta anche un meccanismo protettivo: in pratica, è una forma di anticipazione della mancanza, un modo per filtrarla e per sentirla attenuata nel momento in cui si manifesterà in tutta la sua forza.

La prenostalgia è un sentimento che si può provare per le persone, così come per alcuni luoghi, periodi storici o concetti; per farla breve, qualunque cosa con cui abbiamo avuto un rapporto.

Nel caso specifico del progetto R.I.P., il concetto di prenostalgia dovrebbe attivare un meccanismo che induce le persone a prendere coscienza delle cabine telefoniche prima che scompaiano del tutto.

 

S.S:

Com’è che è iniziato tutto? Per caso un giorno ti sei svegliato con la voglia di fare una telefonata utilizzando la cabina telefonica più vicina a casa tua e non trovandola più, sei entrato nel panico e hai iniziato a mappare la città di Milano in cerca di questi resti della modernità? 

 

N.M:

Lo scorso gennaio stavo lavorando a un’illustrazione della mia fanzine per Subculture, un progetto del mio amico Thomas Berra, e volevo trovare un Tuttocittà da usare come sfondo. Ho sempre amato il Tuttocittà. Inoltre, ho un rapporto quasi autistico con le cartine geografiche: da piccolo le imparavo tutte a memoria, specialmente le autostrade.

Così mi sono imbattuto nelle mappe di Milano e, osservandole, ho notato dei bellissimi pallini fucsia qua e là: quei pallini contrassegnavano le cabine presenti in città.

Da lì, partire in esplorazione è stato quasi automatico e si è aperto un mondo di tracce ignorate, come dei reperti pre-archeologici: basamenti in cemento lacerati, chiostrine (colonnine telefoniche), tombini dell’epoca, a volte anche solo ombre perfettamente quadrate sull’asfalto.

Quando le portano via fanno sempre dei pasticci, e questa è stata una fortuna per me.

Inoltre, i mezzi di comunicazione analogici mi hanno sempre incuriosito. Ogni tanto faccio ancora una chiamata dalla cabina, per esercitare una parte di me che altrimenti si atrofizzerebbe. Credo che i mezzi che usiamo ci cambiano più di quanto immaginiamo.

 

 

S.S:

Il progetto R.I.P. è anche una serie di fotografie da te scattate che mostrano, in modo ironico, come l’assetto urbanistico della città sia stato stravolto in poco tempo senza che nessuno ci abbia veramente fatto caso. Ad esempio: dove un tempo c’era una cabina telefonica adesso c’è un bar o un’aiuola pubblica. Hai qualche considerazione in merito?

 

N.M:

Le foto sono state scattate sia da me sia da alcuni amici fotografi che mi hanno accompagnato durante le escursioni.

Sì, in alcuni casi al posto delle tracce delle cabine ho trovato una città completamente trasformata.

Anche solo un nuovo marciapiede può cambiare i connotati di una zona, ma noi esseri urbani ci abituiamo velocemente e quindi metabolizziamo i cambiamenti senza assimilarli davvero: non ci fermiamo realmente a contemplare il tempo che passa e trasforma la città, salvo poi trovarci di fronte a foto di Milano di 30/40 anni fa e dire: “oh com’è cambiata”. Ti cambia sotto gli occhi ogni giorno, ma te ne rendi conto solo osservando le fotografie.

Comunque, questo ha reso l’effetto delle installazioni ancora più spiazzante: la collinetta sotto Gae Aulenti, i bar eleganti dell’Arco della Pace (che una volta era una piazza trafficatissima), il tunnel di San Siro che una volta era una via. La cabina è riapparsa esattamente nel suo punto, solo che il punto non c’è più.

 

S.S:

La contemporaneità sembra contrassegnata da un’infinità di oggetti che diventano obsoleti dopo poco tempo dalla loro creazione. Perché il tuo interesse è andato alle cabine telefoniche?

 

N.M:

In realtà le cabine telefoniche sono diventate obsolete dopo decenni di onorato servizio. Sono state il confessionale – non poi tanto privato – di tutti. Dentro quelle quattro pareti si sono appiccicate talmente tante storie…

La cabina è un oggetto molto speciale, veniva “abitata” dalle nostre vite; e così quella modesta cabina di alluminio ricopriva ed esaudiva la nostra necessità di comunicare. Con le sue pareti delimitava qualcosa che pareti non ha, ovvero il nostro incessante bisogno di comunicazione. Rappresentano, a mio avviso, materiale per l’immateriale.

Sono state per anni un chiaro segno della presenza della tecnologia nelle nostre vite, creando una sorta di delimitazione con questo spazio, che, nel suo essere specifico, circoscritto e soprattutto pubblico, mostra come la società lo ha “negoziato” con il progresso.

Non a caso, mi ricordo ancora che quando i primi pionieri del cellulare lo usavano in pubblico, soprattutto se erano indaffarati a fare altro, venivano guardati male. Una cosa del genere sarebbe impensabile adesso.

 

 

S.S:

Come definisci la tua operazione? Porta con sé un messaggio politico? 

 

N.M:

È un concetto a cielo aperto, una distrazione positiva, un modo per offrire un’esperienza di riflessione, se vuoi estetica, su quello che viene considerato quasi esclusivamente da un punto di vista funzionale.

Più che un messaggio politico direi che racchiude una speranza, un invito a guardare l’ambiente che ci circonda con occhi diversi, indipendenti e inquisitivi. È un’esperienza che non siamo spesso invitati a far e che a mio avviso ci rende più liberi e soprattutto più imprevedibili. Sono questi i motivi che mi hanno spinto a condividere questa ricerca. Questo lavoro andrebbe interpretato come una sorta di servizio pubblico che vuole innescare un’esperienza liberatoria di curiosità collettiva.

 

 

S.S.

A proposito di curiosità, vorrei sapere quali altri progetti hai in cantiere: mi dai qualche anticipazione?

 

N.M:

Il progetto R.I.P. continuerà nei prossimi mesi con nuove installazioni presentate in altre cabine di Milano, con nuovi elenchi stampati come quello presentato alla cabina dell’incrocio via Venini/Viale Brianza il 15 di novembre. Nel frattempo spero che R.I.P.  raccolga tutto il supporto e le occasioni che possono aiutarlo.
Ultimamente sto approfondendo il metodo Montessori, che è nato per educare i bambini alla curiosità e che, se lo guardi con occhio artistico, nasconde grandi consigli da mettere in pratica anche quando si ha a che fare con gli adulti. Sto lavorando anche a nuove cose, ad esempio sto cercando di sviluppare un progetto per gli Stati Uniti.  È un lavoro che farà riflettere sulla perdita della spontaneità  avvenuta attraverso un cambiamento nel linguaggio, un processo manipolativo iniziato in America negli anni ’40/’50. Chiaramente il mio obiettivo è anche disinnescare questo meccanismo insieme alle persone. L’altro progetto a cui sto lavorando nasce da un’esplorazione stradale online. Un’opera di street art recentemente demolita insieme alla sua casa ottocentesca mi è riapparsa in un errore del sistema, così com’era 10 anni fa. È riapparsa, però, irrimediabilmente compromessa a causa di un intervento involontario del software – un intervento talmente simbolico da far meritare all’opera stessa una seconda vita nel mondo fisico. Su internet i frammenti di memoria si stratificano in modalità inaspettate e non aspettano altro che un tombarolo curioso.

 

RIP Cabina di XXIV Maggio, 1985(c.) – 2015
RIP Cabina di XXIV Maggio, 1985(c.) – 2015
RIP Cabina di via Massena, 1985 - 2014(c.)
RIP Cabina di via Massena, 1985 – 2014(c.)
RIP Cabina di Corso Como/via Sturzo (oggi Gae Aulenti), 1986 - 2009 Al posto dell’incrocio alla fine di Corso Como dove c’era questa cabina, ora c’è una collinetta- ma i tombini SIP sono rimasti, solo spostati più alto.
RIP Cabina di Corso Como/via Sturzo (oggi Gae Aulenti), 1986 – 2009
Al posto dell’incrocio alla fine di Corso Como dove c’era questa cabina, ora c’è una collinetta- ma i tombini SIP sono rimasti, solo spostati più alto.
RIP Cabina di Piazza Sempione, 1972 - 2011(c.) Questo punto di Piazza Sempione una volta era un angolo trafficatissimo, ora c’è un baretto.
RIP Cabina di Piazza Sempione, 1972 – 2011(c.)
Questo punto di Piazza Sempione una volta era un angolo trafficatissimo, ora c’è un baretto.
RIP 13 RIP Cabina di via Patroclo (oggi Tunnel Patroclo), 1980(c.) – 1990 La prima volta che sono andato a San Siro mi sono perso nel tunnel Patroclo, che però fino all’89 era una via residenziale al cui angolo con lo stadio c’era una cabina.
RIP Cabina di via Patroclo (oggi Tunnel Patroclo), 1980(c.) – 1990
La prima volta che sono andato a San Siro mi sono perso nel tunnel Patroclo, che però fino all’89 era una via residenziale al cui angolo con lo stadio c’era una cabina.
RIP Cabina di via Procaccini, 1989 - 2014(c.)
RIP Cabina di via Procaccini, 1989 – 2014(c.)
Il lavoro – mappe e foto - è anche contenuto in alcuni elenchi speciali RIP, ottenuti dagli originali anni ’90.
Il lavoro – mappe e foto – è anche contenuto in alcuni elenchi speciali RIP, ottenuti dagli originali anni ’90.
Il lavoro – mappe e foto - è anche contenuto in alcuni elenchi speciali RIP, ottenuti dagli originali anni ’90.
Il lavoro – mappe e foto – è anche contenuto in alcuni elenchi speciali RIP, ottenuti dagli originali anni ’90.
Le foto sono state letteralmente stratificate sulle pagine dell’elenco, diventandone parte integrante.
Le foto sono state letteralmente stratificate sulle pagine dell’elenco, diventandone parte integrante.
Le città sono piene di tracce lasciate dalle cabine telefoniche, prearcheologia urbana.
Le città sono piene di tracce lasciate dalle cabine telefoniche, prearcheologia urbana.
Le foto della prima esplorazione sono visibili presso la cabina di RIP, all’angolo tra via Venini e viale Brianza, che il 15 novembre ha ospitato le prime foto (tuttora visibili) e gli elenchi telefonici del progetto.
Le foto della prima esplorazione sono visibili presso la cabina di RIP, all’angolo tra via Venini e viale Brianza, che il 15 novembre ha ospitato le prime foto (tuttora visibili) e gli elenchi telefonici del progetto.