La presentazione di Spazio. Intervista a Mariana Siracusa, di Stefano Serusi

Il civico 19 di via Spallanzani a Milano è stato per anni luogo di curiosità: la ditta Masserini vi vendeva e produceva busti ortopedici, non era difficile scorgere attraverso le vetrine le bustaie maneggiare parti anatomiche di tessuto color carne, in un contesto non privo di qualche spunto gotico. Con stupore, dopo la chiusura di Masserini, ho visto gli stessi ambienti completamente trasformati in quello luminoso e minimale di SpazioHo intervistato Mariana Siracusa in occasione del primo progetto espositivo, Wonderland Patagonia, visibile sino al 25 novembre presso Spazio.

Da quali interessi nasce Spazio? Dalla nostra prima chiacchierata e dalle informazioni sul sito mi è parso che alcuni saldi punti di partenza siano la base per la creazione di un luogo dedicato al confronto.
Spazio nasce dalla passione per tutte quelle discipline che comportano pratiche spaziali: architettura, urbanistica, paesaggio, ingegneria, fotografia, ecologia sociale, arte, grafica. Le storie che si possono raccontare mescolando questi ambiti sono ovviamente infinite: alcune sono storie che riguardano il passato, altre si interessano di temi completamente radicati nel presente, altre ancora guardano al futuro. Nascono da ricerche che non trovano facile collocazione altrove e restano per adesso ai margini del mondo accademico, editoriale e curatoriale. I loro autori respirano arie poco istituzionali, viaggiano molto, parlano più di tre lingue, hanno interessi intellettuali e ossessioni personali che la maggior parte di noi trova bizzarri. Ma hanno anche voglia di comunicare le loro “scoperte” e condividere questi universi. Spazio è una vetrina dove questi autori possono mettere alla prova del pubblico le loro teorie. Chi entra dalla porta è attratto da un’immagine, da un oggetto, da un libro, da un suono; speriamo che chi esce si porti a casa un frammento di un mondo sconosciuto. Che questo frammento abbia la forma di una pubblicazione, di un pieghevole, di un’ora passata a chiacchierare o di un link in un biglietto da visita poco importa.
La pubblicazione legata a Wonderland Patagonia mi ha colpito. L’allestimento arioso presentato presso Spazio, lo stesso uso della parola wonderland, possono farci pensare allo sguardo occidentale su un luogo presentato come lontano e idilliaco, eppure la lettura del testo ci segnala ben altra realtà: si apre con le impressioni dei lavoratori di un gasdotto su un paesaggio dalla natura inospitale, si chiude simmetricamente sull’avvenuta brutale trasformazione del territorio attraverso pozzi e condotti. Come è nato questo progetto?
Nell’immaginario la Patagonia è un territorio remoto, incontaminato, dove regna il vento e gli animali sono liberi. Nella realtà anche questa frontiera è stata conquistata: è una storia che parte con il viaggio di Darwin a bordo del Beagle e arriva ai giorni nostri. In mezzo si incontrano personaggi come lo svizzero Leo Wehrli che alla fine dell’Ottocento produsse centinaia di lastre fotografiche della Cordigliera, come l’italiano Egidio Feruglio che lavorò per trent’anni alla descrizione geologica della meseta patagonica, come Agostino Rocca che nel 1947 capitanò la costruzione del Gasdotto del Sud, come Guido Magnone e Lionel Terray che insieme ai membri di una spedizione francese conquistarono il monte Fitz Roy nel 1952. Sono storie molto diverse: le conquiste dell’industria hanno forse poco a che fare con quelle scientifiche o sportive. In Wonderland Patagonia c’è un filo rosso che le lega tutte ma speriamo che questo non impedisca ai singoli frammenti di mantenere una propria autonomia.

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Egidio Feruglio, Ghiacciaio Upsala, Cordigliera Argentina, 1920-1931
Biblioteca della Montagna Luigi Gabba, CAI Milano, Album 123-00057

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Costruzione del Gasdotto Presidente Perón, 1947-1949
Fondazione Dalmine, DA_F_00240_004

Mi hai raccontato che la sperimentazione negli allestimenti è uno degli obbiettivi di Spazio. Ho sempre trovato fondamentale questo aspetto, in particolare nell’accompagnamento del pubblico alla visione, una sperimentazione purtroppo messa in secondo piano in contesti indipendenti per via delle risorse limitate. Ci puoi anticipare qualcosa dei prossimi progetti di Spazio?
Stiamo lavorando a diversi progetti contemporaneamente. Un trio (due architetti e un fotografo) portoghese racconterà la storia del Punteruolo Rosso e della sua passione per gli alberi di palma. L’allestimento è pensato da loro ed è indissolubile rispetto alla narrazione della mostra.
Stiamo poi lavorando a un progetto sulla diga di Kariba, costruita da un’azienda italiana negli anni Cinquanta tra Zambia e Zimbabwe, e a un progetto su via Melchiorre Gioia a Milano.
Spazio è anche, o dovrei dire soprattutto, una libreria. In che modo scegli i volumi presentati? Prevedi eventi dedicati all’editoria?
I libri sono il nostro primo amore e ci interessa tutto quello che vi ruota intorno. Abbiamo sempre circa una quarantina di titoli a complemento della mostra, una specie di bibliografia per chi vuole approfondire il tema o avere una serie di punti di vista diversi rispetto all’unico filo rosso seguito dal curatore. Poi abbiamo una selezione puntuale di titoli di recente pubblicazione, molti in lingua inglese. Non ci scordiamo neppure dei bambini: per loro abbiamo selezionato titoli in italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo e giapponese, tutti illustrati da illustratori che seguiamo con interesse.
Vedi Spazio come un luogo autonomo, catalizzatore di esperienze diverse, o aperto nel tempo nell’appartenenza a reti e nella partecipazione a fiere ed eventi esterni?
Penso che l’autonomia sia molto salutare, difficile da portare avanti, ma salutare. E’ anche vero che il confronto con realtà apparentemente molto diverse dalla nostra può portare a risultati sorprendenti, quindi non escludiamo niente a priori.

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Le fotografie di Spazio sono realizzate da Marco Cappelletti.