Circe a Porta Venezia – intervista a Francesco Ardini

Circe a Porta Venezia, intervista a Francesco Ardini  articolo di Stefano Serusi


 

Visito, nei giorni del Fuorisalone che per qualche giorno movimenta tutta Milano, un evento che, come vedremo, per un attimo ci distrae portandoci in una dimensione del tutto differente grazie a due elementi letteralmente opposti, uno terreno, o meglio ancora terreo, composto da grandi gruppi ceramici, ed uno del tutto immateriale che dal precedente si dipana per mezzo della realtà aumentata. L’autore di questo prodigio – il progetto curato da Alessandro Turci è propriamente intitolato a Circe – è Francesco Ardini, ospite a Milano della galleria Jerome Zodo Contemporary.

 

CIRCE project room presso Jerome Zodo contemporary, credits ph Luigi Acerra

La domanda iniziale non mi lascia molta libertà: la necessità immediata è quella di capire come definirti – ammesso che sia necessario. Artista, designer o artigiano?
Il pretesto è buono perché ci racconti contemporaneamente il passaggio dai tuoi studi di architettura ad un ambito che in questo momento vive una singolare rinascita.

Sono un artista. La capacità di rendere reale il sogno e materiale l’emozione passa attraverso le mani, da questo punto di vista ogni artista è anche artigiano. I miei lavori riflettono su problemi non solo personali ma anche sociali, come quelli che si pone un designer per migliorare la qualità della vita. Mi appartiene quindi anche la dimensione del designer.

Penso  che un giovane debba essere capace di muoversi in più ambiti e debba essere sempre affamato di sapere in quanti più campi possibile. La tecnologia oggi ha reso semplice l’accesso a questa condizione di multisapere, dato che una grande quantità di conoscenze è raggiungibile con un comando vocale o una semplice pressione da apparecchi che stanno comodamente su un palmo di una mano. Percepisco me stesso come un filtro, nei campi in cui mi sto inoltrando, fra un’ enorme quantità di informazioni e novità e le persone che mi sono intorno. Nel mio operare ho una volontà di ricerca con-creta e posso contare su una grandissima tradizione artigianale tipicamente italiana.

Ho studiato architettura presso la facoltà IUAV di Venezia specializzandomi in architettura del paesaggio. Durante la specialistica di giorno ero architetto, di notte aprivo un garage, che avevo trasformato in un piccolo laboratorio di ceramica.

Ho sempre avuto durante i miei studi una particolare sensibilità che mi porta ad utilizzare soluzioni progettuali che abbracciano campi diversi, una attenzione che permea anche le mie attuali ricerche artistiche: questo è il filo conduttore da sempre presente in ogni mio lavoro.

 

 

Come e quando è nato il concept di Circe?

CIRCE nasce dopo aver partecipato al “ProjectNetwork 2013” presso il Guldagergaard – International Ceramic Research Center, Danimarca.

Circe è un mito. Una maga che incanta l’uomo seducendolo. Oggi per me Circe è la tecnologia che ci seduce con le immagini, i suoni, i colori, i prodotti che ci vengono offerti su strumenti di facile utilizzo come mobile phone e tablet, continuamente ed eccessivamente, in un vortice bulimico di informazione senza alcun filtro.

La volontà di unire la mia ceramica ad una tecnologia avanzata come la realtà aumentata nasce da una ricerca  personale che dura da tempo. La ceramica è un materiale complesso e alchemico, ricorda  la”terra” della creazione, è il materiale primordiale, proprio per questo è, nel momento in cui l’uomo crea una nuova realtà, quella virtuale, il più adatto ad integrarsi con essa. Geraldine Zodo e il curatore della mostra Alessandro Turci hanno appoggiato questa mia idea. Volevo incantare con una nuova dimensione, libera da ogni legge di gravità, sviluppo naturale delle mie opere che si caratterizzano da sempre per il loro aspetto dinamico e mutevole. La tecnologia amplifica la nostra  naturale percezione della realtà. Tutto può essere messo in discussione….noi non siamo più semplici visitatori di un’opera ma utenti diretti.

 

Leggendo il testo evocativo di Alessandro Turci in merito ai prodigi di Circe e a quelli più comuni di un semplice iPad, ho subito pensato per via dei miei studi ai “prodigi” del teatro greco, all’uso in ambito scenotecnico di effetti speciali essenziali ma molto efficaci.

In effetti, nella tua mostra l’aspetto artigianale e compositivo primeggia su quello virtuale… questo dosaggio era previsto da subito? Hai immaginato nei progetti futuri di dare più spazio all’aspetto tecnologico?

La tecnologia farà per sempre parte della nostra vita. È stupido disconnetterla anche dalla più semplice attività artigianale. Apparecchi come i tablet sono protesi tecnologiche che amplificano le nostre capacità recettive. L’equilibrio sta nell’aver dato all’utente che visita CIRCE contemporaneamente  la visione della  realtà aumentata, ma anche del concreto cambiamento che la nostra società sta attraversando. Tutto parte da una volontà molto intima. E’ impossibile non sentirsi protagonisti in quel posto che riservo per ciascuno di noi nell’opera MEGARON.

Le quattro opere “integrate”sono disposte per creare la stessa situazione che accadde ad Ulisse.

Si può essere incantati immediatamente da CIRCE con la sua bellezza e il suo canto osservando la realtà aumentata dell’opera INCANTO, ma se il visitatore-utente fa attenzione intorno a lui troverà numerosi riferimenti al domestico…la nostra Itaca, la nostra Penelope, il nostro convivio familiare…i riferimenti che salvarono Ulisse.

In futuro esplorerò ancora l’aspetto tecnologico, cercando di creare un equilibrio tra reale e virtuale tipico del nostro tempo e sicuramente del nostro imminente futuro. Come scrisse Leopardi…Ulisse fu sempre innamorato di Circe, come noi saremo sempre sensibili alla tecnologia.

 

Osservando il tuo lavoro nel suo sviluppo plastico e nella ricerca di una dimensione temporale emancipata dai vincoli narrativi, mi piace forzarmi di pensarti architetto, cercando di capire in quale tipo ti edificio potrei riconoscere il tuo lavoro. Hai pensato negli ultimi tempi quale architettura vorresti vedere o persino produrre?

Amo l’architettura del paesaggio. Permette di spaziare in una dimensione vasta, che abbraccia tanti e diversi campi, dove natura e uomo devono trovare un equilibrio, che perduri anche quando il fabbricato avrà esaurito la propria funzione.

Mi piacerebbe riprogettare aree periferiche, riqualificare paesi con enorme potenziale paesaggistico e creativo, come Nove, dove attualmente produco la mia ceramica.

Vorrei creare quei non luoghi tanto cari a Marc Augé. Quello spazio difficilmente definibile dove può avvenire una interazione tra persone, dove si passa del tempo in un’attesa o si sta semplicemente in sosta, magari con un tablet in mano, connessi ad un mondo dalle infinite possibilità virtuali.

Sono convinto che viviamo un nuovo rinascimento, tecnologico, in cui non è più centrale l’individuo, ma la comunità globale, grande organismo vivente, alla continua ricerca di un baricentro tra reale e virtuale.

 

CIRCE project room presso Jerome Zodo contemporary. credits ph Luigi Acerra
CIRCE project room presso Jerome Zodo contemporary. credits ph Luigi Acerra
CONVIVIO, dettaglio installazione, ceramica contemporanea e sortilegio in realtà aumentata. credits ph Luigi Acerra
CONVIVIO, dettaglio installazione, ceramica contemporanea e sortilegio in realtà aumentata. credits ph Luigi Acerra

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INCANTO ceramica contemporanea e sortilegio in realtà aumentata . credits ph Luigi Acerra
INCANTO ceramica contemporanea e sortilegio in realtà aumentata . credits ph Luigi Acerra