Intervista a Enrico Pittaluga – Generazione Disagio

INTERVISTA ENRICO PITTALUGA – GENERAZIONE DISAGIO

articolo di Stefano Serusi

Nei contenuti speciali dei DVD compare spesso la dicitura che quanto dichiarato dagli attori nelle interviste non corrisponde necessariamente alle opinioni della casa cinematografica. Avendo trovato sempre strana – se non terrificante – questa precisazione, mi viene da pensare che il collettivo Generazione Disagio (del quale intervisto Enrico Pittaluga) non tema l’individualità dei suoi membri, e che anzi se ne avvalga…

Eccome, le nostre individualità sono preziose, ma capisco anche la specifica con cui si tutelano le case cinematografiche che devono mantenere rapporti con tantissime realtà istituzionali e non.
Noi non abbiamo questo tipo di problema e siamo liberi di esprimerci con una certa tranquillità.
Certamente, quando si lavora in gruppo questo è sempre un tema delicato.
Ognuno ha le sue idee e non sempre si è tutti d’accordo, però la pluralità è sempre un valore aggiunto e ti costringe a essere più chiaro di fronte agli altri e a te stesso.
Io per esempio sono una di quelle persone che ha bisogno di esprimere le proprie idee agli altri ad alta voce per capire cosa pensa esattamente.
Mi spiego meglio: un’idea può apparire molto chiara in testa, ma finché non viene espressa e raccontata agli altri non appaiono le difficoltà, le contraddizioni e i punti forti e quelli deboli di quell’idea; sia essa un’idea artistica, o un progetto politico, o anche un viaggio da organizzare.
Il confronto con gli altri, anche all’interno di un progetto artistico come GENERAZIONE DISAGIO può rallentare i tempi, può creare attriti e scontro anche, ma arricchisce moltissimo il prodotto finale: esso sarà una summa delle idee di tutti, che si saranno arricchite e chiarite per rafforzamento o contrasto con quelle degli altri.
Credo che questo spettacolo DOPODICHE’ STASERA MI BUTTO sia l’esempio perfetto di questa collaborazione, che ha molto giovato allo spettacolo stesso: c’è dentro uno e più pezzi di ognuno di noi, scritti, letti e rimaneggiati dalle mani di tutti, con stili che si integrano e si evidenziano a vicenda.
Quindi si, non temiamo l’individualità, e anzi ce ne avvaliamo, il risultato artistico è poi una somma di tutte le individualità messa a frutto in un prodotto che ci soddisfa tutti quanti.
Anche noi ci interroghiamo continuamente su come fare fruttare al meglio l’idea di collettivo e cerchiamo assieme il modo di metterci sempre in discussione e crescere attraverso il confronto sulle tematiche che più ci stanno a cuore.
Per cui risponderò in maniera soggettiva, ma tanto di quello che penso si rispecchia nel lavoro di tutti.

La seconda domanda è d’obbligo: da quali urgenze nasce G.D., e quali sono gli obbiettivi?

Generazione Disagio prende vita attorno al progetto che ha poi preso il nome di “Generazione Disagio: dopodichè stasera mi butto” (spettacolo di e con Enrico Pittaluga, Graziano Sirressi, Alessandro Bruni Ocana e Luca Mammoli. Regista e co-autore Riccardo Pippa). L’idea primigenia di Generazione Disagio nasce, appunto, da un disagio che sentivo profondamente e attorno al quale ho riunito il gruppo che ha condiviso la mia idea: siamo una generazione e un gruppo di lavoro preparato, che ha studiato, e che crede fortemente in quello che ha da dire, ma fatichiamo a trovare lo spazio, che spesso ci viene negato o le nostre energie sono spesso messe a servizio di progetti altrui.
Spesso siamo noi i primi a non credere nelle nostre idee e preferiamo lasciarle in un cassetto per preferire altri lavori, altri spettacoli, altre produzioni che pensiamo possano avere più successo o garantirci più lavoro.
È stata una voglia di riscossa: la generazione che sta in secondo piano invece ha deciso di prendersi il suo spazio, rivendicandolo con forza e con impegno. Il nostro disagio diventa la nostra forza propulsiva e il contenuto artistico stesso del nostro lavoro.
Dopo anni di lavoro a servizio di spettacoli altrui abbiamo deciso di scriverne uno nostro, di cui curiamo tutto: dalla scrittura alla messa in scena alla promozione.
Obiettivo principale è parlare di tematiche relative alla nostra vita quotidiana, includendo tutti gli aspetti dalle più basse necessità alla spinta spirituale e sentimentale spesso frustrata o sopita dalla precarietà in cui viviamo immersi.
Allo stesso modo ci piace ironizzare cinicamente su noi stessi, smascherando con giochi di paradossi i punti deboli della nostra generazione; i momenti in cui impegnarci ci fa paura e preferiremmo restare nella nostra situazione di disagio inattivo pur di non rischiare ancora di restare delusi.
Altro obiettivo è il coinvolgimento di un pubblico più ampio, la generazione come la nostra, le persone che non vanno abitualmente a teatro. Nessuno di noi è famoso e il nostro spettacolo ancora lo conoscono in pochi, è una sfida bellissima e forte portare la gente a vederci ma ci riempie di soddisfazione vedere la sala piena e ricevere dei sentiti ringraziamenti a fine spettacolo.
Ci piace parlare di qualcosa che riguarda tutti e non una ristretta cerchia di addetti ai lavori.
Ci piace anche portare il nostro spettacolo in spazi non teatrali: locali, centri sociali, ex fabbriche, abbiamo avuto un ottimo riscontro.
La forza di questo progetto sta nella grande capacità attrattiva, siamo felici e fieri di riscontrare un enorme entusiasmo attorno al nostro progetto che porta a continui incontri e collaborazioni con spazi (penso a ZAM a Milano, dove abbiamo fatto la prima tranche di prove e scrittura) con altri attori (adesso con noi in scena ci saranno anche Andrea Panigatti e Davide Lorenzo Palla), ma anche i numerosi teatri che hanno scelto di metterci in cartellone, fino ad arrivare alla compagnia Proxima Res che, dopo che Tindaro Granata e Carmelo Rifici ci hanno visti in scena con la nostra anteprima al Torino Fringe Festival, ha scelto di diventare il nostro produttore.

Pensando a termini come collettivo e disagio, mi viene in mente un’immagine di attivismo, che in questo caso vede la figura dell’attore frequentare oltre alla scena i luoghi della vita pubblica.
Quale ritieni sia il ruolo dell’attore nella società di oggi?

Deve essere interprete, poeta e giullare dell’oggi.
Deve riuscire a creare dei corto circuiti mentali sui meccanismi della vita quotidiana, deve porre domande, deve evidenziare le contraddizioni e stimolare artisticamente i contrasti della società in cui vive.
Deve conoscere il mondo in cui vive, lo deve frequentare, deve sapere di cosa è composto, non credo all’attore asceta, almeno non è quello che mi rispecchia e non rispecchia il modo di fare arte di generazione disagio.
L’attore deve sapere cos’è una coda alla posta, quanto costa il latte, dove vanno i ragazzi alla sera.
Deve leggere i giornali e farsi un’idea politica della società.
Il mestiere dell’attore è sempre politico e la scelta stessa di fare teatro è politica.
Bisogna amare il pubblico e cercarlo e coinvolgerlo.
Ogni spettatore che sceglie quella sera di andare a teatro invece di spegnersi davanti alla tv va ringraziato e ascoltato.
Scegliere di stare al buio 1 o 2 ore seduti a fianco di sconosciuti e ascoltare una storia o prendervi addirittura parte è un gesto politico enorme: parla di socialità, di condivisione, di creazione di collettività e si spera di scambio libero di idee.
Quando poi questo avviene in luoghi pubblici o recuperati dall’incuria, il teatro e l’attore diventano anche tutori del concetto di riappropriazione degli spazi e di restituzione alla comunità di quegli spazi come un bene comune in cui creare socialità, combattendo la solitudine e l’individualismo che contraddistingue tristemente le nostre città.
Scegliere i temi di cui parlare, le persone con cui farlo e gli spazi in cui provare, andare in scena e fare promozione sono fattori che l’attore/autore deve considerare.
Ritengo che l’attore come mestiere sociale e “politico” imponga di scegliere a cosa prestare la propria faccia e la propria arte o la propria tecnica, soprattutto se si raggiunge una certa notorietà, quando si potrebbe davvero influenzare qualcuno e farlo ragionare piuttosto che indurlo ad acquistare un bene di consumo.
L’attore deve sapere parlare e stare con tutti: per farlo deve frequentare la vita pubblica in tutti i suoi aspetti.

Ritornando agli obbiettivi del collettivo, c’è anche una necessità da parte vostra di muovervi verso un ruolo autoriale, comprendente anche la regia e la scrittura degli spettacoli?

Sicuramente si.
Farsi fautori e portavoce di messaggi di cui si condivide tutto. Uno spettacolo tuo in tutto e per tutto lo promuovi e lo difendi meglio, e stai più attento a come dici le cose, scegli lo stile di scrittura, quello interpretativo fino alla grafica delle cartoline.
Tutto ti rispecchia e rispecchia il modo di pensare del gruppo, frutto di accordi e scelte.
Stiamo cercando il nostro modo di fare teatro e dire le cose che ci stanno a cuore, mettendoci alla prova di fronte al pubblico.
Avevamo voglia di fare qualcosa di nostro e, dopo anni a cercare di dire le parole di altri scoprendone il significato, vogliamo oggi dire le nostre parole trovando il modo migliore di dirle ai nostri contemporanei.
C’è una profonda differenza tra interprete e attore-artista.
Un interprete si attiene alle scelte della produzione che lo assume e agisce in modalità impiegatizia, non per forza condivide le scelte registiche o di produzione di quel teatro.
Quello che sto ricercando con i miei compagni in Generazione Disagio è il mio e nostro modo di essere artisti, autori e attori.
C’è una ricerca di tematiche e di stile oltre al lavoro prettamente interpretativo di un testo.

Pensate di coinvolgere nel vostro percorso figure artistiche ancora esterne al mondo del teatro?

Si, è già successo e contiamo di farlo ancora. Collaborano con noi artisti come Duccio Mantellassi e Niccolò Masini che hanno disegnato scene, loghi e locandine. Abbiamo realizzato video e promo con Video Maker come Antonio Morra e alcuni amici della scuola civica di cinema e televisione di Milano.
Per il futuro siamo aperti a collaborazioni con artisti di ogni tipo, incontrandoci su un terreno comune di tematiche e linguaggi.

A breve a Milano ci sarà uno spettacolo di Generazione Disagio. Mi puoi raccontare come è strutturato, e dare ai nostri lettori delle indicazioni per venire?

Lo spettacolo si chiama “GENERAZIONE DISAGIO: Dopodichè stasera mi butto”.
Debutterà a Milano al Teatro Elfo Puccini, in corso Buenos Aires, replicando dal 26 dicembre al 4 gennaio 2015.
È strutturato come una grottesca convention in cui presentiamo la nostra ultima invenzione: un gioco in scatola didattico che funziona come un gioco dell’oca all’incontrario: vince chi “perde”.
Chi rovina di più la sua vita e accumula più sfighe avanza fino ad arrivare alla casella finale: la casella suicidio.
Lo slogan è “Metti in gioco i tuoi problemi e portali al suicidio! Ti sentirai più leggero!”.
“Dopodichè: l’emozione di vincere perdendo la vita!”.
E’ un vero e proprio gioco con il pubblico, che aiuta i nostri personaggi e può intervenire nello svolgimento del gioco: ci sono prove collettive e prove individuali, imprevisti che fanno avanzare e indietreggiare e momenti speciali.
Noi, in veste di profeti del disagio pensiero invitiamo a vivere serenamente la vita, accettando passivamente e a cuor leggero la nostra condizione di disagio. Se uno smette di vivere i suoi problemi come un problema, ma anzi, li accetta come una condizione abituale e normale, non sarà più deluso.
Si ride, tanto, e si riflette assieme sulla generazione degli eterni giovani, che restano giovani fino a 50 anni.
Disagiati di tutto il mondo, unitevi!
Vi aspettiamo a teatro!
Questa è la nostra chiamata pubblica:

Sappiamo chi sei.
Tu sei un disagiato. Lo sai tu e lo sappiamo anche noi. Sappiamo quante energie sprechi per non farlo vedere. Fratello disagiato, basta: Il disagio non è un ostacolo sulla strada, il disagio è la strada.
Non cercare di cambiare te stesso. Non cercare di apparire migliore. Accettati come sei: pigro, inetto, inconcludente, dispersivo, vile. Noi ti vogliamo bene così.
Non preoccuparti: elimineremo assieme ogni senso di colpa, ogni residuo di frustrazione.
Noi siamo qui per aiutarti.
Siamo portatori di un messaggio universale che si esprime attraverso la pratica delle tre d:
Distrazione, Disinteresse, Disaffezione.
Stringi la mano che ti porgiamo. Il futuro è nostro. Grandi giorni di festa si avvicinano.
Noi siamo la Generazione Disagio. E ce ne sbattiamo il cazzo.

26 e 27 dicembre promozione a 16,5 euro. Rivolgersi a:
[email protected]

Orari, info e prenotazioni
http://www.elfo.org/

Altre info, foto e video sulla nostra pagina facebook:
https://www.facebook.com/generazionedisagio

canale youtube:
https://www.youtube.com/channel/UCjYvLTO0FXLBC3Jvgh1WXLw

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