Il nocciolo della questione . testo di Simona Squadrito e foto mostra

IL NOCCIOLO DELLA QUESTIONE
a cura di Yellow
CESARE BIRATONI, LORENZA BOISI, LINDSEY BULL, MANUELE CERUTTI,
MARTA DAL SASSO, LUCA DE ANGELIS, LORENZO DI LUCIDO, ELIA GOBBI,
SEBASTIANO IMPELLIZZERI, VERA PORTATADINO, MARCO SALVETTI.
Fino al 10 aprile 2016

IL PROGETTO- GETTATO
Testo critico di Simona Squadrito

“L’artista è colui che sa situare la sua attività fuori dalla vita, colui che non soltanto dall’interno partecipa alla vita (pratica, sociale, politica, morale, religiosa) e dall’interno la comprende, ma che anche la ama dal di fuori, là dove essa esiste per sé, dove essa è rivolta fuori di sé e ha bisogno di un’attività extralocalizzata e avulsa dal senso. La divinità dell’artista sta nella sua appartenenza a un’extra località suprema” (Michail Bachtin).

Perché mettere insieme in una collettiva Cesare Biratoni, Lorenza Boisi, Lindsey Bull, Marta Dal Sasso, Luca De Angelis, Lorenzo Di Lucido, Elia Gobbi, Sebastiano Impellizzeri,
Vera Portatadino, Marco Salvetti e Manuele Cerutti?
Quando si è presentata la possibilità di fare una mostra d’arte contemporanea al Museo Civico Bodini, il primo pensiero che si è avuto è stato quello di trovare nel panorama nazionale e internazionale delle opere che potessero dialogare con la collezione presente del museo, che ospita, oltre a un numero considerevole di sculture e gessi di Bodini, anche una serie di opere di artisti appartenenti a quel movimento indicato come Realismo Esistenziale.
La mostra Il Nocciolo della Questione parte proprio da qui, da una serie di opere contemporanee che non sono sicuramente legate al gruppo sopra citato, ma che a ben guardare ne conservano simili caratteristiche. Nei lavori esposti vi è infatti la medesima tensione, lo stesso pungolo esistenziale che caratterizzava quel movimento, vi è il tentativo di descrivere la realtà trasformandola in uno specchio della condizione umana.
Si possono leggere in questo modo gli ultimi disegni di De Angelis. Qui, l’artista raggiunge momenti di forte carica espressiva, senza dubbio maggiore che nei suoi dipinti a olio. Il paesaggio si compone di violenti gesti, e la composizione vorticosa e nervosa evoca i più cupi motivi esistenziali. I personaggi sono semplici uomini divorati dal paesaggio ostile e opprimente con cui a volte si mimetizzano. Il forte segno che caratterizza questi lavori esprime il senso greve dell’esistenza. La ripetizione del segno e la violenta gestualità impressa nei disegni sembrano voler rimarcare l’incombente necessità di imprimere la propria esperienza nel mondo. Molte delle opere esposte in mostra sono delle proiezioni interiori e alcune esprimono un forte disagio esistenziale.

In The Empress, l’inglese Bull raffigura una donna pesantemente truccata, dal volto duro e severo, seduta come in bilico su una sorta di composizione geometrica che genera un forte contrasto visivo con la morbidezza del vestito arancione. La donna sembra in procinto di lasciare se stessa, il suo volto duro è tradito dall’abbandono del gesto fatto col braccio che, insieme al forte contrasto cromatico, rende il dipinto profondamente malinconico. I personaggi di Bull sono “spesso sorpresi nella fissità di un istante, coinvolti nella contemplazione di qualcosa che è oltre la nostra vista e avvolti da un’insolita aura mentre sono scoperti a bisbigliare un segreto che non si può udire. I loro sguardi proseguono lontani accendendo una luce che illumina una malinconia intima e silente” (V. Portatadino, Beauty and Sadness, 2015).
L’esistenza profondamente invalida nei rapporti umani e a disagio in ogni situazione esistenziale è raccontata da alcuni lavori di Di Lucido. In Teoria delle Catastrofi sono rappresentati due frame molto simili tra loro. La figura del primo frame, persa nel paesaggio, appare sfocata e avvolta in una dimensione fantasmagorica, per poi quasi scomparire nel secondo, quasi come intaccata dal tempo. Un dipinto tutto avvolto da tinte scure, atmosfere lontane, l’immagine interiore di un ricordo sommerso. Le teste dipinte da Di Lucido, cancellate nelle loro caratteristiche fisiognomiche fondamentali, offrono invece uno spunto di riflessione sullo sguardo dell’uomo, sulla sua realtà fenomenica e sulla sua complessità esistenziale e culturale.
La verità certa di uno sguardo lirico, di una cavità metaforica negli spazi domestici, negli oggetti di uso comune e nei gesti dell’esistenza catturati nello scorcio privato è ciò che possiamo vedere nelle grandi tele di Elia Gobbi e nei piccoli dipinti in mostra di Sebastiano Impellizzeri. I lavori di Gobbi, presi dalla serie di studi di figure in interni eseguita a Londra nel 2013, esibiscono chiaramente la sintesi personale della posa del soggetto che si incontra con la dolorosa incombenza di una luce aspra e cruda, che illumina cose e figure ferite dalla solitudine e dall’angoscia di un quotidiano insuperabile. In Notturno, Interno con Figura,il soggetto in tensione sembra perso davanti il sovrastare dell’esistenza, le mani attorcigliate sono impegnate a lasciar trasparire lo spessore dell’individuo, calato nella sua esistenza privata e nella sua solitudine estrema, nell’ansia dell’attesa di una catastrofe imminente. La prospettiva “scorretta” evidenziata da un parquet che non conosce punto di fuga, le tende molto pesanti che nascondono una delle notti più scure rendono claustrofobico e centrifugo l’ambiente in cui è calato il soggetto. Diversa l’atmosfera in cui è immerso l’uomo alla finestra di Impellizzeri che, nel dipinto Dalla Finestra, costruito da una tavolozza di colori molto contrastata ma estremamente lucida e coerente, avvolge il soggetto in una dimensione in bilico tra motivi cupi e motivi più lieti. È impossibile riuscire a decifrare i pensieri del giovane, eppure ci sentiamo come invitati a farlo. La posa a tratti accennata restituisce fedelmente un certo tipo di atmosfera, quella calda dell’estate, forse nelle ore tarde del pomeriggio. Lo sguardo rivolto verso un fuori indecifrabile ci permette di interrogarci sull’interiorità misteriosa di questo giovane fanciullo colto in un momento intimo della sua esistenza, in cui sembra aspettare qualcosa che sta per accadere ma che è escluso dalla rappresentazione. In molti dei lavori esposti emerge non soltanto una preoccupazione di studio formale sulla figura, ma anche di un sentimento esistenziale, risvegliato attraverso la messa in scena della figura, facendo proprio uno dei più celebri motti di Francis Bacon: “la pittura deve strappare la figura al figurativo”. Trovano posto in questa collettiva anche le grandi tele, della serie The Way You Meet di Marta dal Sasso con i suoi miti immaginativi. Quelle della Dal Sasso sono tele estremamente forti e espressive, la gamma cromatica è accesa e violenta. Acceso è il rosso organico che unisce le due figure in The Way You Meet 3. Energia e ferite interiori sono profuse nei due corpi, passando di bocca in bocca. Spesso nei lavori di Dal Sasso ci troviamo di fronte a figure in azione, coscienti di quell’umano-che-è-comune, dove ciascuno è ospite e mai padrone, in una dimensione in cui la vera narrazione è quella dell’incontro tra un “Io” e un “Tu” e delle relazioni che ne conseguono. Questi soggetti sembrano impegnati in una lotta che assume i tratti di una danza macabra, nella rappresentazione di un essere-per, di un Es, ergo sum, su un palcoscenico di proscenio. Il gesto segnico di Salvetti, spesso associato a motivi ironici e divertenti, nel dipinto Gli Ubriachi assume una valenza più greve e tagliente. I corpi oscillano nel paesaggio vibrante, sono come tagliati dal vento. Un segno ocra a forma di ricciolo tradisce la seriosità dell’opera, uno scorcio di festa, di gioco o di ilarità balorda tipica di chi è ubriaco. Questo piccolo e veloce segno si fa carico del senso emotivo dell’opera. Un motivo simile si ritrova in Testa del cieco, un volto vuoto, appunto “cieco”. Al nostro sguardo emerge un doppio volto, difficile da decifrare, composto da una macchia simile al segno lasciato su un sudario e da un profilo appena accennato. Questa testa di Giano, dall’identità incerta ma al contempo complessa, è incorniciata da segni carichi di ironia. Gli ultimi dipinti di Biratoni trovano una nuova via, le tinte solitamente accese e anti- naturalistiche usate dall’artista si smorzano in favore di una tavolozza più tenue e meno contrastata. Una ricca gamma di colori pastello che sfumano dal rosa al lilla, al celeste, incornicia con tenerezza e sensualità queste moderne, cedevoli e morbide bagnanti. Il lavoro di Biratoni all’interno di questo percorso di opere rappresenta come una fonte di acqua fresca in cui è possibile abbeverarsi. L’angoscia e la violenza sono sospese per ritrovare una sorta di comunione serena con l’esistenza. Un invito a scavare nei nostri ricordi e a ritrovare la dolcezza di un momento trascorso nello sperpero positivo del tempo, nelle attività gioco, nell’amicizia e nella sensualità. La grande tela di Portatadino, Argo Cento Occhi, è invece ispirata alle Metamorfosi di Ovidio, nello specifico è il mito di Argo Panoptes (Argo “che tutto vede”) il soggetto scelto dall’artista. Questo dipinto, a metà tra astrazione e figurazione, con il soggetto disegnato prendendo ispirazione dalle silhouette della pittura vascolare dell’antica Grecia, è in assoluto ciò che meglio può sintetizzare, in modo metaforico, tutti i temi affrontati in mostra. Questo gigante munito di innumerevoli occhi su tutto il corpo può essere anche interpretato come colui che è consapevole della propria esistenza. Lui, così come lo tratteggia Ovidio, è colui che sente il proprio corpo più di ogni altro, è corpo e spirito, inconsapevole di un possibile dualismo. Argo si pone la domanda sul proprio ex-sistere (dal Latino: “essere fuori da”), e come la stessa artista dichiara: “la domanda sulla propria esistenza, l’ex-sistere, è il nostro tentativo di uscire fuori da noi stessi e guardare l’essere come qualcosa di altro. Ponendoci la domanda si fa più chiaro qual è il nocciolo della Questione. È in ogni artista una tensione esistenziale. Le cose che gli appaiono alla vista, che si fanno sentire sopra e sotto la sua pelle, i suoni, i sapori e le fragranze che lo animano, collaborano tutte nel rivelare una realtà ricca e multiforme, di cui l’uomo-artista si scopre consapevole, e da essa si sente chiamato, in un rapporto intenso e vocazionale”.
Proprioception è la piccola tela esposta da Manuele Cerutti. Il suo titolo è estremamente evocativo, fa da efficace pendant alla lettura del dipinto. La propriocezione è la nostra capacità di saper riconoscere la posizione del nostro corpo all’interno dello spazio. Grazie al suggerimento dato dal titolo ci è possibile capire il perché della posa non prettamente naturale che assume il soggetto rappresentato. Nonostante sembri ben ancorata al terreno su cui poggiano le sue mani e le ginocchia, la figura appare fortemente sbilanciata, non del tutto consapevole del controllo del proprio movimento corporeo. Anche qui è possibile rilevare metaforicamente i temi affrontati in questa collettiva. Il soggetto moderno era partito in modo così sicuro, si è poi ritrovato consapevolmente gravato dai suoi rischi e dalle sue incertezze. Abitante della metropoli cosmopolita, luogo dove si espandono i deserti dell’anima. Quasi tutti i soggetti rappresentati nelle opere lottano o sono vittime, a dispetto dell’apparente eccitazione dello scenario post-moderno, dalla freddezza emotiva e dalla moralità perfettamente ignara del limite, e difendono la non-indifferenza al coinvolgimento, all’ascolto, all’incontro con l’altro di sé e da sé. Sono tutti soggetti provati dalla deriva dell’identità autoreferenziale, ma che trovano una possibilità di salvezza nella scelta consapevole di farsi carico della propria esistenza assumendo su di sé il carattere abissale della propria libertà individuale. Per concludere, la mostra è arricchita dai dipinti e dalle ceramiche di Lorenza Boisi. Quasi tutto il lavoro della Boisi ha un respiro esistenziale, i suoi lavori, così come sostiene l’artista, oscillano tra l’incertezza e la possibilità. La tavolozza vivace e la pennellata veloce e fluida, si adagia mimeticamente al suo universo interiore. Gli oggetti e le figure rappresentati sono spesso circondati da un’atmosfera vibrante, generata da onde, come se queste fossero un’emanazione stessa dei soggetti dipinti. Nel piccolo dipinto Senza Titolo che apre la mostra, l’artista coglie e immortala un atto creativo, il momento in cui delle mani plasmano o decorano un vaso, forse quello stesso vaso che sarà plasmato concretamente. Il lavoro di quest’artista felicemente diviso tra pittura e scultura è la testimonianza stessa del suo vissuto. Le ceramiche, in particolare, sono dei segni materiali e visibili dei suoi ricordi, dei momenti spesi sulle rive del lago Maggiore, quando con lo sguardo perso verso l’orizzonte del lago si è scoperta a immaginare una Laveno ormai passata. L’insieme dei lavori della Boisi custodiscono e svelano un universo di forme e di colori carichi di nostalgia, dove presente e passato vibrano di una tensione emotiva che non conosce quiete. La circostanza, e quindi la narrativa dell’evento di cui la figura è protagonista, è per lo più un pretesto. In tutte queste tele vi è la messa in scena del soggetto contemporaneo e del suo mondo
interiore. Una mostra-manifesto del concetto che vede l’uomo come progetto- gettato. L’uomo non può sufficientemente definirsi come pura essenza ma ciò che lo definisce è la sua concreta individualità esistenziale, la concretezza esistenziale di cui fa parte la nostra libertà. L’angoscia che sembra trasparire in molte delle opere esposte ha il suo prepotente carattere positivo perché è la testimonianza concreta del sentimento di assolutezza e abissalità che ci investe davanti alla consapevolezza della nostra libertà, luogo in cui possiamo perderci completamente. Vivere la libertà e sentirne il suo carattere abissale ci sospende e ci distacca, permettendoci, appunto, di essere nella condizione di assolutezza di una vita che ci presenta continue esperienze di scelta e alternative concrete che dipendono da noi.

Luca De Angelis Senza Titolo, carboncino su carta
Luca De Angelis Senza Titolo, carboncino su carta
Cesare Biratoni, Senza Titolo, 2016, olio su tela
Cesare Biratoni, Senza titolo, 2016, olio su tela
Elia Gobbi, Dolce Concentrazione, olio su tela.
Elia Gobbi – Dolce concentrazione, olio su tela
Elia Gobbi, Notturno, e Cesare Biratoni Senza Titolo e Senza Titolo
Elia Gobbi – Notturno , Cesare Biratoni – Senza titolo e Senza Titolo
Elia Gobbi, Notturno, Interno con Figura, olio su tela
Elia Gobbi – Notturno interno con figura, olio su tela
Il Nocciolo della Questione Veduta della mostra 6
Il nocciolo della questione – veduta della mostra
Il Nocciolo Della Questione veduta della mostra
Il nocciolo della questione – veduta della mostra
Il Nocciolo della Questione, veduta della mostra 02
Il nocciolo della questione – veduta della mostra
Lindsey Bull The Empress 2015, olio su tela
Lindsey bull – The empress 2015 olio su tela
Lorenza Boisi, Senza Titolo, 2016, olio su tela
Lorenza Boisi – Senza titolo 2016 olio su tela
Lorenza Boisi, Senza Titolo, olio su tela, 2016
Lorenza Boisi – Senza titolo, olio su tela 2016
Lorenzo di Lucido, Dromos, olio su tela
Lorenzo di Lucido – Dromos, olio su tela
Lorenzo di Lucido, In Girum Imus Nocte et Consumimur Igni, olio su tela e Marco Salvetti, Caverna, 2015, olio e pastello su tela
Lorenzo di Lucido – In girum imus nocte et consumimur igni, olio su tela e Marco Salvetti – Caverna, 2015, olio e pastello su tela
Lorenzo Di Lucido, La Testa di Mia Nonna Come una Scultura, olio su tela e Sebastiano Impellizzeri, Dalla Finestra 2011 olio su tela
Lorenzo di Lucido – La testa di mia nonna come una scultura, olio su tela e Sebastiano Impellizzeri, dalla finestra, 2011 olio su tela
Luca De Angelis, Senza Titolo, grafite e carboncino su carta e Elia Gobbi, Fantasma, olio su tela
Luca de Angelis – Senza titolo, grafite e carboncino su carta e Elia Gobbi, Fantasma, olio su tela
Manuele Cerutti Proprioception (3), 2010, olio su tela, 19 x 27,5 cm, courtesy dell'artista e Guido Costa Projects
Manuele Cerutti – Proprioception 3 – 2010 olio su tela 19-x-275-cm courtesy dell’artista e guido costa projects
Marco Salvetti Testa del Cieco, 2015, olio su tela.
Marco Salvetti – Testa del cieco – 2015 – olio su tela
Marco Salvetti Testa del Cieco, 2015, olio su tela
Marco Salvetti – Testa del cieco – 2015 – olio su tela
Marco Salvetti, Gli Ubriachi, 2015, olio su tela
Marco Salvetti – Gli ubriachi – 2015 – olio su tela
Marta Dal Sasso The Way You Meet 4, 2015, tempera e grafite su tela e Lorenza Boisi Senza Titolo, ceramiche 2015-2016
Marta dal Sasso – The way you meet 4 – 2015 – tempera e grafite su tela e Lorenza Boisi – Senza titolo – ceramiche 2015-2016
Marta Dal Sasso, The Way You Meet 4, 2015, Tempera e grafite su tela
Marta dal Sasso – The way you meet 4 – 2015 – tempera e grafite su tela
Marta Dal Sasso, The Way You Meet, tempera e grafite su carta
Marta dal Sasso – The way you meet – Tempera e grafite su carta
Sebastiano Impellizzeri, Costruire una Mostra, 2014, olio su carta telata
Sebastiano Impellizzeri-costruire-una-mostra-2014-olio-su-carta-telata
Sebastiano Impellizzeri, Narcisi, 2011, olio su tela e Luca De Angelis, Senza Titolo, 2015, grafite su carta
Sebastiano Impellizzeri – Narcisi – 2011 – olio su tela e Luca de Angelis – Senza titolo – 2015 – grafite su carta
Vera Portatadino, Argo Cento Occhi, 2016, olio su lino, 150 x 150 cm copy
Vera Portatadino – Argo cento occhi – 2016 – olio su lino 150 x 150 cm

Museo Civico Floriano Bodini
via Marsala 11, Gemonio (VA)
Tel. 0332 604276 – 347 4283218 (Yellow)
Orari: Sab – Dom 10:30-12:30 / 15:00 – 18:00
Tutti gli altri giorni su appuntamento al 347 4283218
www.museobodini.it
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Vera Portatadino (direttore)
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