Abitare

articolo di Giovanni Matteo ed Emanuele Puzziello

 

Può sembrare una constatazione forzata ma, sfogliando un qualsiasi manuale di Storia dell’Arte, risulta evidente che la gran parte delle opere universalmente riconosciute come contributi essenziali al progresso delle arti visive in senso “positivista”, sono frutto di uno sguardo all’esterno, fuori dalle mura domestiche. Le stazioni rumorose e gli affollati caffè degli impressionisti, le strade illuminate da bagliori acidi degli espressionisti, le piazze in rivolta e i fragorosi cantieri dei futuristi potrebbero essere considerati tappe di un cammino di estroflessione che ha il suo culmine nell’invasione degli spazi pubblici e negli interventi sul paesaggio operati nell’ambito della Public Art e della Land Art alla fine del Novecento.

 

Mentre si consuma questa corsa verso l’esterno sono tanti i grandi maestri a rimanere tra le mura di casa, segnando un percorso individuale e spesso aprogrammatico, tortuoso e sotterraneo. Cammini di introflessione, spesso tutt’altro che rassicuranti. Pensiamo agli infiniti pavimenti a scacchi di Casorati, agli interni soffocanti di Balthus, alle pareti incolore che pulsano intorno alle bottiglie di Morandi, alle stanze livide delle case di Hopper che, viste dall’esterno, appaiono impenetrabili ed enigmatiche ancor più che all’interno, ai secchi riferimenti prospettici che balenano come tracce luminose nel buio in cui si dibattono le creature di Francis Bacon.

 

Eppure questo atteggiamento introspettivo e, potremmo dire, “domestico” non ha niente a che vedere con la chiusura, semmai con la separazione: Jung sosteneva che la casa possiede una valenza intrapsichica, in quanto luogo in cui l’uomo si rapporta e vive con le superfici e con gli oggetti di cui si è circondato per rappresentare il proprio mondo, ma anche una superficie intermedia tra il mondo interno e quello esterno della persona. L’archetipo della casa, nucleo di questa esibizione, si può applicare al concetto stesso di opera d’arte che, come la casa, è una costruzione che accoglie lo spettatore – ospite e gli chiede di confrontarsi con i suoi contenuti. Contemporaneamente gli offre l’opportunità di riflettere sulle leggi che ne governano la struttura e determinano la compiutezza della sua forma.

Questo passo ulteriore ci può condurre ad un approccio freddamente analitico, se ci atteniamo al ruolo che la mentalità occidentale affida all’arte e che attualmente ci offre un’idea compromessa e frammentaria, se non travisata, del valore artistico di un oggetto. Se, invece, ci apriamo per un attimo alla concezione orientale, possiamo pensarla come ad una sorta di mappa per la meditazione: il dipinto, il disegno, la fotografia come planimetrie dello spirito da percorrere, conoscere ed abitare.

 

La compiutezza della forma, alla base del concetto di opera d’arte, si lega strettamente anche all’idea della costruzione, in particolare per ciò che riguarda gli edifici di culto: l’attenta lettura della simbologia presente nelle cattedrali gotiche e in varie “dimore filosofali”, operata da Fulcanelli, ci fornisce una chiave per aprirci ad una fruizione di queste costruzioni come “libri di pietra”, edificati seguendo un ben preciso ordine rituale e la cui costruzione (comprendente l’immenso apparato iconico all’interno degli stessi edifici) simboleggiava quella della Grande Opera Alchemica.

 

La ritualità ed il simbolismo che animano la magia e le forme arcaiche di religiosità governavano, prima che dilagasse la via “razionale”, la progettazione e la costruzione della casa: l’abitazione non doveva semplicemente soddisfare le esigenze materiali dell’uomo, ma favorire la sua sintonia con il ciclo vitale, la cadenza del giorno e della notte, il ciclo delle stagioni e perfino la dicotomia vita / morte.

 

Heidegger, nel suo “Costruire abitare pensare”, parte dall’analisi di parole arcaiche nate per esprimere questi concetti e giunge a dire che “L’abitare è il modo secondo il quale i mortali sono sulla terra”. Il filosofo include gli uomini in una originaria unità, la “quadruplicità”, formata da mortali ed immortali, terra e cielo. Abitare è custodire, proteggere l’essenza della quadruplicità, non semplicemente soggiornare; le “cose che non crescono”, cioè quelle edificate dai mortali, possono “radunare la quadruplicità”, darle una “dimora” e stabilire un “rapporto tra il luogo e l’uomo che è in esso”. Solo la “capacità di far penetrare terra e cielo, gli immortali e i mortali in essenziale unitarietà nelle cose” può edificare la casa.

 

Le immagini delle opere che seguono fanno riferimento al lavoro di Francesco Cuna, Pasquale De Sensi, Tinatin Ghughunishvili, Luigi Massari, Fabio Mazzola ed Emanuele Puzziello, presentate in occasione di “Abitare”, nell’ambito del progetto Ozio.


Fabio Mazzola, A Giacomo, performance, 2013 (L’artista siede ad una scrivania e batte a macchina i racconti del padre morto, ritrovati nella sua casa), courtesy l’artista, foto di Sante Cutecchia


Luigi Massari, Eravamo Occidente, acrilici su tela, 50 X 70, 2012, courtesy l’artista

 


Francesco Cuna, Abitare, tecnica mista su tela, 60 X 80, 2012, courtesy l’artista



Emanuele Puzziello, La Via Secca, olio su tela, 80×80, 2012, courtesy l’artista


Pasquale de Sensi, SafePlace, tecnica mista su carta, 21 X 30 cm, 2013, courtesy l’artista

 


Tinatin Ghughunishvili, Marti I, tecnica mista, 20 X 40, 2012, courtesy l’artista


La città di Matera ci è sembrato il luogo ideale per riflettere su questo concetto. Le abitazioni rupestri dei “Sassi”, infatti, che oggi ci appaiono semplicemente “pittoresche”, sono frutto di un intelligente percorso di adattamento dell’uomo alla natura, alla pietra, alla conformazione del paesaggio ed al suo rapporto peculiare con il ciclo dell’acqua e perfino con la direzione dei raggi solari, durato ininterrottamente, e in continua evoluzione dal paleolitico al Cinquecento. La struttura stessa dell’abitato era, già dal neolitico, pensata per orientare nel modo più corretto l’uomo nel flusso del tempo, in armonia con il cosmo secondo le conoscenze tradizionali in campo astronomico. La casa come cassa di risonanza delle vibrazioni del mondo, dispositivo che permette di generare quello stato di sospensione che riteniamo essenziale allo sviluppo del processo creativo.


Giovanni Matteo – Emanuele Puzziello