A.S. Velasca. Intervista a Wolfgang Natlacen, di Stefano Serusi

Ho intervistato per Cerchio Magazine l’artista Wolfgang Natlacen, cofondatore e presidente di A.S. Velasca, una squadra e un progetto artistico che legano all’azione e al rito del calcio l’attivazione in campo di opere appositamente prodotte, che comprendono le divise dei calciatori, i loro ritratti e tutto un corredo di ““objets utiles” necessari all’arte del calcio.

Mi piacerebbe ricostruire la nascita di A.S. Velasca; in che contesto è nata l’idea, il nome, la possibilità di farne una squadra riconosciuta?
Il Velasca è nato su un campo di ghiaccio; con Loris Mandelli – vice-presidente del Velasca – ci eravamo lanciati nel curling, ma è stato un flop totale, sportivamente parlando. Da lì, tra me e Mandelli è nata una certa complicità che era già iniziata prima con il Fantacalcio, uno dei pochi modi di sognarsi ancora allenatore o dirigente a trent’anni passati (non a caso si chiama Fantasy Football in inglese). Ci siamo accorti che condividevamo lo stesso sogno, ovvero quello di creare una vera squadra di calcio. Delusi dal calcio odierno, era venuto il momento di saltare nel vuoto e fondare un club nuovo, autentico, per la nostra città, Milano. Alla ricerca di un nome, ci serviva un punto di riferimento recente, un nuovo simbolo per questa città che cambia. A 500 metri dal Duomo, la torre Velasca ci aspettava. Anacronistica, discussa, è il simbolo perfetto. Amata, odiata, l’interpretazione della torre Filarete del Castello Sforzesco era il nostro punto di partenza.
Non ci siamo mai posti limiti, e continuiamo a sognare in grande. Dal primo allenamento-provino, un vero disastro, all’allenamento di questa sera abbiamo sempre creduto in noi, ambito a fare le cose nei migliore dei modi anche nella “peggiore” delle categorie.
La squadra quest’anno ha delle new entry? ci puoi raccontare le caratteristiche di chi calcia nelle file dell’A.S. Velasca?
Cerchiamo la continuità. Non solo perché il progetto è umano ma anche perché contiamo molto, moltissimo sui giocatori (dal titolare fisso all’ultimo dei panchinari brontolone). E non c’è più grande soddisfazione di vedere certi giocatori attraversare le stagioni e le difficoltà e/o sconfitte indissociabili dalla nostra narrazione, dal nostro sogno. Un sogno che non è un’esclusività dei dirigenti ma che dev’essere condiviso da tutti, dagli artisti ai giocatori. Ovviamente, crescendo, le new entries hanno il compito di migliorare tecnicamente la rosa e starsene con i piedi per terra (ahahah). Perché anche dal nostro piccolo, il rischio di partorire delle superstar è alto. Comunque, sul punto di vista sportivo, il Velasca è simile a qualsiasi altro club. Non cerchiamo dei giocatori che sanno dipingere o cantare, disegnare o scolpire, per noi il calciatore è per default un artista. Ma è anche vero che dopo due stagioni abbiamo certi calciatori che stanno, timidamente, varcando le linee del campo per creare (“objets utiles”, sculture, …).
La possibilità di legare delle opere al gioco sul campo e alla comunicazione è stata immediata? che evoluzione prevedi nel tempo?
Il progetto è nato con questo “principio”. Senza questa possibilità, questo progetto non avrebbe senso. Abbiamo sempre pensato che l’arte del calcio non doveva limitarsi ai giocatori, alle loro giocate ma doveva e dev’essere più ampio, a 360°, dentro e fuori dal campo.
Quando ancora c’era solo il contenente e non il contenuto, il Velasca era già una narrazione. Perché di questo si tratta, di una storia, della storia di un sogno impossibile.
Via social scriviamo il nostro percorso mentre sul campo cerchiamo di sublimare.
Ci sono tante supposizioni sul nostro futuro, sulla nostra evoluzione. E anche questo fa parte del progetto. Tante pagine sono già state scritte, tanti indizi sono stati sparsi in giro, postati. C’è chi confida molto in noi, c’è chi invece trema all’idea di voltare la pagina. Perfino il nostro sponsor tecnico, che ha investito tanto in questo progetto, si presta al gioco senza sapere esattamente in che cosa si è cacciato / ci stiamo cacciando. Forse questa è la forza del progetto. Se ti svelo quello che prevedo sarò reo di aver ucciso un nostro lettore / tifoso / sognatore. David Hockney farà parte del viaggio ? I ragazzi andranno in F.I.G.C. ? Riceveremo (altre) diffide ? Costruiremo uno stadio ? Saremo inghiottiti dalla Cina ? Finiremo in Serie A ? Sono capitoli in fase di scrittura o forse già scritti ma non ancora pubblicati.
Dal momento che ho posto a te queste domande, e condividendo alcuni interessi, mi piacerebbe chiederti come si inserisce A.S. Velasca all’interno del tuo percorso artistico.
Chiudo il cerchio, il Velasca è un’interpretazione. Dalla tomba picnic che ho scolpito per mia madre tuttora in vita, fino alla mia prossima campagna elettorale passando dal Velasca, ho sempre cercato di interpretare dei soggetti delicati e/o tabù come la morte, il sesso, la politica, la religione e quindi il calcio (e guai a parlare di calcio). Non penso di avere gli stessi occhi di quelli che avevo da bambino, ma cerco di tenerli aperti. I bambini sono i più grandi sognatori. E sono anche i migliori interpreti.

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